Piemonte, terroir e Biodinamica secondo Ceretto. L’intervista a Davide Pellizzari.

Davide Pellizzari di Ceretto, dal 2013 in azienda come enologo e responsabile del comparto produttivo per quanto riguarda la gestione del biologico e la biodinamica – in affiancamento a Gianluigi Marenco, responsabile della gestione agricola generale – ci racconta della sua esperienza di conversione aziendale.


Dal 2009 nella storica azienda piemontese, 140 ettari vitati per una produzione di un milione di bottiglie circa, è partito, per volontà di Alessandro Ceretto, un processo di sperimentazione e conversione al biologico, mediante l’uso sempre più esteso dei preparati biodinamici e dei cumuli di letame e sovescio. Questo approccio si è concretizzato nel 2015 con la certificazione bio su tutta la proprietà e sui vini prodotti in azienda.


“Il biennio 2013-2015 è stato importante per comprendere l’uso delle tecniche biodinamiche e la gestione logistica su larga scala, dopo essere partiti nel 2009 da una ventina di ettari, fino all’estensione di queste pratiche a tutta l’azienda. Dal 2018 riusciamo a coprire l’intera superficie vitata con i preparati, obiettivo non semplice data la frammentazione dei vigneti, con concimazioni da compost preparato in azienda e una gestione del verde secondo il calendario lunare. Questo processo per step, una serie di tentativi con verifiche puntuali per capire se il sistema funzionava, ci ha consentito di diventare maggiormente consapevoli della trasformazione in atto e ha dato all’intero percorso un grandissimo valore, soprattutto per il bagaglio di informazioni acquisite da tutti noi” – dice Pellizzari.


La filosofia dei Ceretto è quella di coltivare nel modo meno invasivo possibile i terreni da lasciare alle generazioni future, un patrimonio inestimabile che è doveroso consegnare inalterato, e questo è il motivo alla base della scelta aziendale, unito alla ricerca della maggiore espressione possibile delle caratteristiche dei diversi terroir, e proprio in questo la biodinamica si è rivelata uno strumento essenziale, permettendo oggi di far esprimere al meglio la forte personalità di ogni parcella.


“Abbiamo capito che ci stavamo muovendo nella direzione giusta quando con la nuova gestione abbiamo raggiunto gli stessi quantitativi di uva pre 2009, e che la qualità di questa uva allo stato sanitario era eccezionale. Se quindi, a parità di resa e qualità, il metodo utilizzato per produrla è meno impattante sull’ecosistema e sui nostri collaboratori e consente di sottolineare le differenze organolettiche dei vini dei vigneti differenti, la scelta è davvero semplice”, prosegue Pellizzari. “La più grande difficoltà è cambiare la forma mentis e l’ottica di produzione fatta di numeri, per passare a un approccio diverso di fronte ai problemi, che è quello che per noi vuol dire fare biodinamica. Questo naturalmente non significa che non ci siano state difficoltà da risolvere – ci sono stati anche sbagli nel percorso – ma cambiando il punto di vista e il modo di interagire, si trovano più agevolmente le soluzioni adatte”.